Le garanzie prestate da un terzo, contenute in un accordo di ristrutturazione dei debiti, sono soggette all’imposta di registro in misura proporzionale una volta avveratasi la condizione dell’omologa (di per sé, soggetta a tassa fissa) dell’accordo. Si tratta del principio affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 40913 del 21 dicembre 2021, che si segnala per un’approfondita analisi della natura dell’istituto previsto dall’articolo 182-bis della legge Fallimentare.
La controversia decisa dalla Corte di cassazione con la sentenza in commento scaturisce da un avviso con il quale l’Amministrazione finanziaria, a seguito della denuncia di avveramento delle condizioni sospensive contenute in un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis della legge Fallimentare, aveva liquidato l’imposta di registro in misura proporzionale con riferimento a una serie di atti di costituzione di garanzia, personale e reale.
In particolare, come si apprende dalla motivazione, in relazione agli obblighi di pagamento assunti dalla Srl ricorrente, uno dei soci si era costituito fideiussore nei confronti delle banche creditrici, e altri soci in proprio avevano costituito un pegno sulle proprie quote sociali.
Tenuto conto dell’articolo 43, lettera f) del Dpr n. 131/1986, che individua nella somma garantita la base imponibile degli atti con i quali viene prestata garanzia reale o personale, nonché dell’articolo 6 della Tariffa Parte prima, che per le garanzie prevede l’aliquota dello 0,50%, l’ufficio aveva liquidato l’imposta considerando come atto soggetto a registrazione non il decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione, bensì l’atto recante le garanzie.
L’avviso di liquidazione, annullato in primo grado ma confermato in appello, è stato impugnato dalla società con un ricorso basato su cinque motivi, il primo – e più degno di nota – dei quali si fonda sulla violazione dell’articolo 160 della Legge fallimentare, in relazione all’articolo 182-bis della medesima legge, della circolare n. 27/2012 dell’Agenzia delle entrate e dell’articolo 8, lettera g) allegata al Tur, che prevede la tassazione dell’omologazione con l’imposta fissa di 200 euro.
Secondo la contribuente, la tassazione proporzionale dovrebbe aver luogo solo qualora l’atto giudiziario di omologazione costituisca titolo per il trasferimento o per la costituzione di diritti reali, mentre l’accordo stragiudiziale in quanto tale non dovrebbe essere tassato, perché assumerebbe valenza giuridica solo con l’omologazione del Tribunale.
La Cassazione precisa sin da subito che l’atto soggetto a registrazione non è il decreto di omologa dell’accordo, come deducono i contribuenti, bensì l’accordo stragiudiziale di ristrutturazione recante le garanzie di cui si è riferito.
In alcune sentenze (vengono citate Cassazione n. 10352/2007 e Cassazione n. 19141/2010), è stato affermato, richiamando il cosiddetto criterio nominalistico, che l’atto di omologazione del concordato preventivo deve scontare l’imposta fissa ai sensi dell’articolo 8, lettera g).
Ciò tuttavia non ha impedito, in altre occasioni, di sottolineare la “prevalenza”, ai fini della tassazione dell’imposta di registro, degli eventuali effetti immediatamente traslativi del provvedimento con il quale, nel concordato fallimentare con assunzione, il terzo assuntore acquista i beni fallimentari.
In particolare, gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono caratterizzati da una prima fase a carattere stragiudiziale, nella quale il debitore e il creditore pervengono a un accordo sul risanamento dell’impresa mediante regolamento consensuale della posizione debitoria, e da una seconda, a carattere giudiziale, che culmina nella procedura di omologazione.
Diversamente dal concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione è un contratto tra privati, che viene sottoposto al vaglio dell’autorità giudiziaria dopo il suo raggiungimento, al fine di ottenere l’esenzione da revocatoria (articolo 67, comma 3, lettera e) e il blocco delle azioni esecutive individuali (articolo 182-bis, terzo comma).
Ciò premesso, la Corte affronta la questione, ampiamente dibattuta in dottrina, circa la natura degli accordi di ristrutturazione come particolare modalità di realizzazione del concordato preventivo o come figura autonoma. Secondo una tesi, infatti, gli accordi di ristrutturazione possono essere assimilati al concordato preventivo, per l’affinità della procedura e per la connotazione marcatamente pubblicistica; secondo un’altra, divergono dal concordato, per il maggior rilievo del momento negoziale, ma restano pur sempre delle procedure concorsuali. Altri, infine, seguendo una tesi che la Cassazione definisce “prevalente”, attribuiscono agli accordi natura puramente negoziale, ravvisando in essi l’espressione di autonomia privata: non è infatti previsto un procedimento e un provvedimento di apertura, non vi è nomina di organi, gli atti del debitore non sono soggetti a controlli e i creditori dissenzienti o estranei all’accordo non vi sono vincolati. Si tratterebbe pertanto, secondo quest’ultima tesi, di un fascio di contratti di diritto privato collegati tra loro, manifestazione di uno spazio di autonomia negoziale anche nella fase patologica dell’attività d’impresa.
Tuttavia, poiché la giurisprudenza – ponendo l’accento sulle forme di controllo e di pubblicità e sugli effetti “protettivi” del debitore – ha aderito alla tesi “pubblicistica”, che colloca l’accordo di ristrutturazione nel diritto concorsuale, la Corte ritiene che ad esso possano essere estesi i principi generali del concordato. Si tratta, in altri termini di strumenti di regolazione della crisi d’impresa “non solo alternativi, ma anche biunivocamente interscambiabili in itinere”, come confermano disposizioni “di raccordo” quali l’articolo 161, comma 6, secondo periodo Legge fallimentare, e il comma 8 dell’articolo 182-bis. Inoltre, gli accordi sono inclusi, a livello unionale, tra le procedure di insolvenza di cui al Regolamento UE 2015/848 del Parlamento Europeo e del Consiglio (vedi l’allegato A).
Riprendendo l’efficace immagine riportata nella sentenza di Cassazione n. 9087/18, che rappresenta il fenomeno della concorsualità come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal centro (il fallimento), si afferma che all’esterno del perimetro rimangono i soli atti di autonoma riorganizzazione, che non richiedono nemmeno l’intervento “omologatorio” del giudice.
Ciononostante, la natura concorsuale della procedura di cui all’articolo 182-bis Legge fallimentare non esclude la qualificazione dell’accordo come atto di autonomia privata, che per effetto dell’omologazione (si badi bene, non della proposta di accordo, ma di un accordo già perfezionato) acquista efficacia nei confronti dei terzi, creditori non aderenti. In quest’ambito, il decreto di omologa assume il ruolo di una condizione sospensiva, che retroagisce (articolo 1360 cc) al momento dell’accordo.
Una volta verificatasi la condizione, cioè per effetto dell’omologa, gli effetti delle garanzie devono essere soggetti a registrazione in misura proporzionale ex articolo 6 della Tariffa Parte I allegata al Tur, relativo ai negozi di costituzione di garanzie a favore di terzi, così come avvenuto nel caso di specie.
L’interessante pronuncia della Corte ha individuato nell’istituto in commento una natura ibrida, e ne ha tratto le dovute conseguenze in tema di imposta di registro: l’omologa in quanto tale sconta la tassa fissa, mentre le garanzie previste nel contratto, che diviene efficace con l’omologa, sono soggette a imposta proporzionale.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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