Un tema di società di comodo, ai fini del superamento del test di operatività, i proventi realizzati da una compravendita immobiliare devono essere considerati plusvalenze e non ricavi, dal momento che l’immobile stesso è stato legittimamente considerato patrimonio della società in quanto iscritto nel registro cespiti, ossia nel registro in cui vanno annotati tutti i beni acquistati dall’azienda e iscritti a bilancio fra le immobilizzazioni. Ciò, anche in considerazione del lungo termine trascorso tra l’acquisto e la vendita dell’immobile.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 27775 del 12 ottobre 2021, con cui ha rigettato il ricorso di una società confermando la legittimità del diniego espresso di rimborso Iva emesso dall’Agenzia delle entrate.
La vicenda riguarda un diniego espresso di rimborso Iva opposto dall’Agenzia delle entrate a una società ritenuta di comodo. Sia la Ctp che la Ctr respingevano le doglianze della contribuente, confermando l’operato dell’ufficio.
Con il proprio ricorso in Cassazione, la contribuente denunciava violazione e falsa applicazione dell’articolo 30 della legge n. 724/1994, in quanto la sentenza impugnata ha erroneamente accertato la correttezza dell’operato dell’Agenzia delle entrate che ha disconosciuto al provento della compravendita immobiliare la qualifica di ricavo, riqualificandolo come plusvalenza, circostanza che ha determinato il mancato superamento del test di operatività e quindi il diniego del rimborso del credito Iva.
Nel rigettare il ricorso, la Cassazione ricorda che l’articolo 30 della legge n. 724/1994, al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (il cosiddetto “test di operatività dei ricavi”), ma poi, al successivo comma 4-bis, consente la presentazione dell’istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle disposizioni antielusive), in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1, così rispondendo all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (cfr Cassazione, pronuncia n.. 9852/2018).
Nel caso in esame la Ctr ha correttamente ritenuto che i proventi realizzati da una compravendita (avvenuta nel 2015) di un immobile (acquistato nel 1990) devono essere considerati plusvalenze e non ricavi, dal momento che l’immobile stesso è stato legittimamente considerato patrimonio della società in quanto iscritto nel registro cespiti; inoltre, la strumentalità all’attività d’impresa si poteva desumere in quanto il suo indirizzo coincide con quello della sede sociale della società e gli immobili destinati alla vendita avrebbero dovuto essere indicati tra le rimanenze finali e le esistenze iniziali, mentre nel quadro RG della dichiarazione della società non risulta essere dichiarato alcun dato. Pertanto, anche in considerazione del lungo termine trascorso tra l’acquisto e la vendita dell’immobile, sono sufficienti a qualificare la differenza attiva a seguito della cessione quale plusvalenza e quindi a ritenere fondato il diniego al rimborso.
Sulla possibilità di riclassificare le voci di bilancio da parte dell’Agenzia delle entrate si è espressa anche l’ordinanza della Cassazione n. 2785/2021, secondo cui gli immobili iscritti in magazzino (gli immobili merce), non essendo compresi tra gli asset indicati dall’articolo 30, comma 1, legge n. 724/1994, non rientrano nel test di operatività, a condizione che la classificazione fra gli immobili merce sia improntata a corretti principi contabili. Ciò impone di ritenere che la classificazione dell’immobile tra i beni del circolante, anziché tra le immobilizzazioni, deve essere motivata dalla effettiva destinazione alla vendita, dovendosi includere nel testi di operatività gli immobili che, sebbene iscritti tra le rimanenze, risultino oggetto di locazione a terzi da lungo tempo.
Ancora con le ordinanze 8218/2017 e 23165/2020 la Cassazione ha stabilito che va considerata di comodo una società del settore alberghiero gestita senza obiettivi di profitto immediati e concreti, mediante la locazione a terzi di un immobile a canone incongruo rispetto alle condizioni di mercato o rispetto al periodo (in caso di immobile ricettivo) e non remunerativo rispetto alle rilevanti spese di ristrutturazione effettuate.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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