Il giornalista che rientra in Italia allo scadere della sua posizione di distacco può usufruire dell’incentivo a favore dei lavoratori che tornano o si trasferiscono nel nostro Paese se la permanenza fuori confine ha di fatto comportato un suo radicamento all’estero e se, a prescindere dalla sottoscrizione di un nuovo contratto, assumerà un ruolo non di “continuità” rispetto al passato.
La vicenda risolta dall’Agenzia delle entrate con la risposta n. 259 dell’11 maggio 2022 presenta aspetti peculiari rispetto ai casi esaminati nei precedenti documenti di prassi riguardo all’applicazione del regime di favore previsto per i “lavoratori impatriati”.
L’istante, in estrema sintesi, è un giornalista iscritto all’Aire, residente all’estero ininterrottamente dal 2001. Ha collaborato negli anni con diverse testate italiane ed estere come freelance, ma senza mai rientrare in Italia.
Una delle società italiane con cui collaborava dall’estero fin dal 2000, l’ha assunto dal 2012 come redattore ordinario, con contratto di lavoro a tempo indeterminato. La sua sede di lavoro, in tale occasione, veniva stabilita in Italia, ma dalla data stessa dell’assunzione gli veniva assegnato l’incarico di corrispondente dallo Stato estero dove, peraltro il giornalista risiedeva e svolgeva la sua attività professionale dal 2006. Il distacco veniva più volte prorogato fino al 30 giugno2022.
La società per cui lavora ha fatto sapere al giornalista che ha intenzione di porre fine al distacco per assegnargli un nuovo incarico in Italia. Si tratterebbe di un avanzamento di carriera, con maggiori responsabilità e retribuzione, assumerebbe, in breve, la qualifica di vice caporedattore della testata giornalistica presso la sede italiana. La nuova posizione lavorativa, precisa il giornalista, sarebbe del tutto diversa da quella svolta all’estero. Nonostante ciò, per esigenze aziendali il nuovo rapporto non sarà sancito con un nuovo contratto.
L’istante sta valutando se accettare l’offerta e trasferirsi in Italia con tutta la famiglia composta anche da tre figli minorenni. Il professionista chiede se, rientrando nel nostro Paese, può usufruire del regime fiscale a favore degli “impatriati” (articolo 16, comma 2, Dlgs n. 147/2015).
La perplessità nasce dai paletti posti dalla prassi amministrativa all’applicazione dell’agevolazione per i dipendenti che rientrano dopo essere stati distaccati all’estero, circostanza in cui non è riscontrabile la condizione di “discontinuità” nel rapporto di lavoro necessaria per accedere all’agevolazione.
L’Agenzia dopo aver delineato i requisiti e le condizioni per usufruire dello speciale beneficio richiama la circolare n. 17/2017 con la quale è stato precisato che i dipendenti tornati nel Paese a fine distacco all’estero non possono fruire del beneficio a causa della “continuità” con la precedente posizione lavorativa in Italia. Tuttavia, tale interpretazione restrittiva, aggiunge l’amministrazione, non impedisce di valutare specifiche ipotesi in cui il ritorno in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali non contrastanti con l’incentivo.
Successivamente, infatti, la risoluzione n. 76/2018, ha chiarito che l’attività lavorativa prestata fuori confine non preclude l’accesso al regime nei casi in cui il distacco, più volte prorogato e protrattosi nel tempo, ha determinato un affievolimento dei legami del lavoratore con il territorio italiano e ha favorito, invece, un suo radicamento nel territorio estero. Altra ipotesi che non impedisce l’accesso al beneficio è quella in cui il contribuente assuma un nuovo ruolo in ragione della competenza e dell’esperienza assunte all’estero.
In sintesi l’agevolazione spetta se finito il distacco il dipendente rientra ma svolge una nuova attività ed è sottoscritto un nuovo contratto, condizioni che devono realizzarsi effettivamente e non soltanto su carta. Non deve configurarsi, dunque, una situazione di “continuità” rispetto al rapporto in vigore prima dell’espatrio. Per la stessa ratio, l’agevolazione non spetta anche quando il distacco all’estero è disposto contestualmente all’assunzione in considerazione della continuità delle originarie condizioni contrattuali in essere prima del trasferimento all’estero.
Si tratta di indici di “continuità” individuati in via meramente esemplificativa, come ha precisato la circolare n. 33/2020, in realtà, osserva l’Agenzia occorre esaminare caso per caso per valutare il radicamento all’estero del dipendente e la discontinuità del “nuovo” ruolo aziendale assegnato.
Tornando al caso dell’interpello, l’istante si è trasferito all’estero nel 2000, dal 2001 ha instaurato, senza rientrare in Italia, con il suo attuale datore di lavoro italiano, una collaborazione in qualità di professionista autonomo, con svolgimento dell’attività dall’estero, dal 2012 la collaborazione si è trasformata in rapporto di lavoro dipendente con contestuale distacco all’estero, senza che ciò richiedesse l’espatrio del giornalista visto che il professionista era già fiscalmente non residente.
Il trasferimento in Italia proposto ora dall’azienda non prevede un nuovo contratto ma la modifica del precedente sottoscritto nel 2012. Tuttavia la posizione lavorativa assunta al rientro sarebbe del tutto “nuova” sia dal punto di vista professionale che della retribuzione e, quindi, non in “continuità” con la precedente. Inoltre, per risolvere la vicenda, occorre considerare anche l’effettivo radicamento all’estero del professionista via dall’Italia con la propria famiglia ormai dal 2001.
In definitiva, ritiene l’Agenzia, l’istante è nelle condizioni di poter usufruire del trattamento previsto a favore dei lavoratori che si trasferiscono nel nostro Paese, previsto dall’articolo 16 del Dlgs n. 147/2015. Il giornalista potrà inoltre beneficiare del prolungamento dello scontro fiscale per ulteriori cinque anni rispetto ai cinque ordinari previsto in presenza di figlie minorenni o a carico.
fonte fiscooggi.it