La Corte di cassazione ha chiarito che, qualora nel bilancio siano contabilizzate fatture da ricevere, ai fini della deduzione dei relativi costi, occorre che il contribuente sia in grado dì esibire fatture o documenti equipollenti, che siano idonei, per forma e contenuto, a dimostrare il requisito dell’inerenza, sotto il profilo della connessione con l’attività d’impresa.
Questi, in sintesi, i contenuti dell’ordinanza n. 25612, del 22 settembre 2021.
Al centro della controversia vi era un avviso di accertamento per Iva, Ires e Irap 2004, notificato da un ufficio dell’Agenzia delle entrate ad una compagine sicula, con cui venivano recuperati:
– i costi risultanti da una certa fattura, che non consentiva, a parere dell’amministrazione finanziaria, di stabilire il tipo di prestazione ricevuta e, quindi, di valutarne l’inerenza;
– i costi per insussistenze passive, imputati a conto economico, per un certo importo.
Sia il primo che il secondo grado di giudizio, innanzi ad una Ctp siciliana e alla Ctr Sicilia, sezione staccata di Siracusa, vedevano soccombente l’Amministrazione: per i giudici tributari, in sostanza, l’avviso di accertamento in questione era illegittimo.
Proponeva, dunque, ricorso di legittimità l’Agenzia delle entrate, richiamando una serie di vizi del deliberato di prime cure e sottolineando come l’ufficio accertatore avesse contestato la mancanza di adeguata documentazione degli elementi negativi di reddito non per negare l’esistenza dei costi, ossia la loro effettività, perché li riteneva inesistenti, ma per evidenziare come proprio la mancanza di adeguata documentazione non consentisse di verificare l’inerenza degli stessi all’attività dell’impresa.
Secondo la suprema Corte, il ricorso è fondato.
Infatti, continua la Cassazione, facendo proprio il ragionamento dell’Erario, può ben verificarsi che un costo, della cui esistenza soggettiva e oggettiva non dubiti l’ufficio, sia ritenuto dall’Amministrazione finanziaria semplicemente non provato quanto all’inerenza, o non del tutto provato nel suo intero ammontare riguardo a tal profilo che ne consenta la deducibilità, o, ancora, non provato quanto all’inerenza poiché i documenti che lo attestano non sono ritenuti adeguati.
Basti pensare, argomenta il Collegio di legittimità, alla documentazione di costi con documentazione extracontabile, diversa dalle fatture, che generalmente può non ritenersi sufficiente a dar prova di quanto dedotto.
Nel caso di specie, in sostanza, a fronte di mere indicazioni e apposizioni contabili, di per sé non sospette né tantomeno inattendibili, a fronte degli approfondimenti istruttori dell’ufficio non sono stati forniti documenti atti a confermare che quei costi apposti in contabilità, dei quali le scritture contabili informavano solo quanto agli importi e ai soggetti che avevano ceduto i beni e prestato i servizi, fossero relativi a operazioni inerenti.
Ebbene – chiosa la Cassazione – ben può l’ufficio contestare l’inerenza del costo sotto il profilo della mancata prova di tale requisito, causata dalla omessa produzione nel procedimento o nel processo della documentazione probante.
Difatti, il rilievo quanto ai costi riguardava il difetto di documentazione degli stessi in quanto, non risultando in atti detta documentazione, non era provata l’inerenza dei costi; invero, una delle fattispecie concrete riscontrate era quella – sostanzialmente “di scuola” – in cui il contribuente indica nel conto economico costi cospicui “per fatture da ricevere” dei quali deduce l’importo, salvo poi non esser in grado, a richiesta dei verificatori, dì esibire fatture idonee, per forma e contenuto, a dimostrare che tali fatture riguardavano costi inerenti in quanto connessi con l’attività d’impresa.
Quanto alla deduzione dei costi ai fini dell’imposizione reddituale, ex articolo 109, comma 5 del Tuir, la Cassazione richiama il proprio orientamento, secondo cui, ai fini della detrazione di un costo e dell’Iva relativa, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (cfr. Cassazione n. 18904/2018).
Si tratta in buona sostanza, di un’applicazione, in ambito tributario, del noto brocardo “cuius commoda, eius et incommoda”, da cui deriva il principio processual-civilistico di riferimento dell’onere della prova, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (articolo 2697 cc).
In definitiva, il contribuente che intenda detrarre un costo, non può esimersi dal provarne l’inerenza.
by Liberato Ferrara Area Imprese Network
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